Dott.ssa Letizia Pandolfi Psicologa Parma - SVG
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- “Sei troppo magra

- “Sei troppo grassa

- “Ma quanto mangi?

- “Perché non mangi?!”

- “Ma quanto sei dimagrita?”

- “Ma quanto sei ingrassata?”

Queste sono solo alcune delle tante domande che almeno una volta nella vita ci siamo sentiti rivolgere da qualche amico, da qualche familiare, o semplicemente da qualcuno che ci ha visti per la prima volta. Per quanto potremmo aprire una parentesi importante sull’indelicatezza di tali domande, ché per entrare nelle vite degli altri occorre accuratezza e conoscenza, la pillola di oggi si focalizzerà sui disturbi alimentari.

Nella società contemporanea assistiamo ad un’attenzione sempre più centrale al corpo, alla cura dell’esteriorità, all’adesione a canoni estetici generalizzati e universali. Ebbene, occorre precisare che, nonostante ci troviamo all’interno di questa cornice, i disturbi alimentari fondano le loro radici su tematiche intrinseche e profonde che hanno a che fare con il corpo ma non sono del corpo. Il corpo, in questo caso, diventa il veicolo, il vettore attraverso cui esprimere un malessere interiore che non ha avuto voce, non ha trovato parole altre per potersi esprimere. I disturbi alimentari sono caratterizzati da un’attenzione focalizzata sul cibo, che diventa l’unico interlocutore verso cui si muovono tutte le scelte.

È il rapporto con il cibo (che se vogliamo può essere esteso, in senso più clinico, al nutrimento) la relazione che si instaura con esso a darci il segnale di un possibile disturbo. Sebbene quando si entra in contatto con questo disturbo non sempre è immediata la richiesta d’aiuto, per questa affezione al sintomo che altrimenti lascerebbe scoperchiare terrori ben più difficili da gestire e da contattare, non è impossibile trovare volontà e spazi per infarcire la relazione di parole nuove che hanno a che fare con la cura. Di disturbi alimentari si può morire, ma si può anche ritrovare la speranza dentro una relazione più ampia e complessa che rimette in movimento.